“Quarantatré, tutti saltati in aria in contemporanea: Feuernacht, la Notte dei fuochi. Un’azione spettacolare organizzata in modo preciso, meticoloso, paziente. Questa volta non si può proprio fare a meno di dirlo: tedesco.”[1] Con queste parole ironiche e un po’ maliziose, Francesca Melandri in “Eva dorme” descrive la notte tra l’11 e il 12 giugno 1961, quando il Comitato di Liberazione dell’Alto Adige (Befreiungsausschuss Südtirol, abbreviato BAS) fece saltare numerosi tralicci, interrompendo la fornitura di energia elettrica con lo scopo di paralizzare la zona industriale di Bolzano – luogo simbolo della politica demografica fascista degli anni Trenta. Heinrich Ritsch, figlio di un mugnaio, faceva parte del succitato BAS, ma non partecipò mai attivamente alle sue azioni. Tuttavia, le sue esperienze si inseriscono nel racconto di un momento storico fortemente incisivo per la storia altoatesina del 20° secolo.
Sebbene l’obiettivo degli autori della Notte dei fuochi fosse quello di causare danni solamente materiali, involontariamente uccisero lo stradino Giovanni Postal, che scoprì un ordigno inesploso nei pressi di Salorno.[2] Negli anni a venire, le bombe avrebbero ferito e ammazzato molte altre persone, soprattutto quando i servizi segreti internazionali e gli estremisti di destra scoprirono il potenziale agitatorio della questione altoatesina, cercando di portare avanti i propri interessi sulle spalle della popolazione locale.[3] Gli attentati cessarono solamente negli anni Ottanta.
Tutto ebbe inizio negli anni Sessanta, con gli attacchi ancora piuttosto “modesti” a opera di una manciata di uomini guidati da Sepp Kerschbaumer, originario di Frangarto. Furono spinti dalla rabbia e dall’insoddisfazione per la mancata revoca della decisione di St. Germain, cioè l’annessione del Sudtirolo all’Italia, che speravano sarebbe stata rivista dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Inoltre, lo Stato italiano non stava mantenendo le promesse fatte nel 1948 col Primo Statuto di Autonomia, soprattutto negli ambiti dell’edilizia popolare e dell’istruzione. Già prima della Notte dei fuochi c’erano stati diversi attentati come, per esempio, alla tomba di Ettore Tolomei al cimitero di Montagna o alla sua casa a Gleno.[4] Nel gennaio del 1961 il cosiddetto Aluminiumduce, una statua equestre dalle sembianze mussoliniane presso la centrale idroelettrica di Ponte Gardena, era stato distrutto da una bomba. La testa del cavallo decapitato si trova oggi al museo “Tirol Panorama” di Innsbruck.
In quegli anni Heinrich Ritsch – tutti lo chiamavano Heindl – aveva 40 anni. Nato il 9 giugno 1923 a Cortaccia, la sua famiglia aveva spesso cambiato casa: Suo padre possedeva mulini a Egna, Ora, Trodena, Bronzolo e Vandoies. Nonostante la terribile crisi della Grande Depressione, la famiglia non soffrì mai la fame, perché i mulini assicuravano loro farina e polenta in abbondanza. Con molta amarezza Heindl ricordava la forzata frequentazione della scuola italiana, colpa le leggi repressive del fascismo, e la successiva esperienza nel reparto di aviazione della Wehrmacht tedesca: era stato arruolato all’età di soli 17 anni. Suo fratello minore, Otto, morì sul campo di battaglia in Albania nel 1944. Finita la guerra, Heindl si trasferì a Ora, mentre il resto della famiglia rimase a Vandoies. A Ora aprì un’officina in Casa Leonardelli in Piazza della Chiesa, dove offriva un servizio di riparazione biciclette.
All’inizio degli anni Sessanta decise di unirsi al BAS di Ora. Il gruppo si procurò tutto il necessario per la realizzazione di una bomba, ma non lo utilizzò mai.
Per molti decenni in paese girava voce che la dinamite fosse ancora nascosta da qualche parte nei boschi di Ora. Nel giugno del 2021, incuriosito da questa storia, mi misi alla ricerca del fantomatico nascondiglio, quando in una piccola grotta rocciosa vidi diversi sacchi. Al loro interno trovai 60 chili di dinamite e 50 metri di miccia. Ad indirizzarmi nel posto giusto erano state le interviste svolte durante le ricerche sulla vita di Heindl.[5]
Lo stesso Heindl probabilmente non aveva mai toccato questi esplosivi, anche perché nella Notte dei fuochi si trovava a Innsbruck, dove lavorava come autista. Ma il suo nome figurava sulla lista degli indagati, motivo per cui, come molti altri membri del BAS, decise di rimanere in Austria, latitante. In Tirolo potrebbe aver partecipato a diverse azioni clandestine insieme al noto agitatore Luis Amplatz. Tuttavia, non esistono prove che lo dimostrano e non fu mai citato nei famosi processi di Milano del 1963/64 e 1966 a carico dei dinamitardi sudtirolesi. Trascorse il resto della sua vita nel Tirolo del Nord: alcuni suoi amici andarono spesso a trovarlo. Solo negli anni Settanta, dopo l’approvazione del Secondo Statuto d’Autonomia, ogni tanto passò il confine per vedere la sua famiglia. Heindl Ritsch è morto nel 2009 a Leutasch, in Tirolo.
Ancora oggi gli attentati dinamitardi di quegli anni continuano a sollevare polemiche e discussioni. Molte domande restano senza risposta e sono pochi i casi in cui è stato possibile rintracciare i responsabili.[6] Fatto sta che le motivazioni iniziali del BAS di Sepp Kerschbaumer, morto nel 1964, furono ben presto abbandonate a favore di un più cruento modus operandi, che costò la vita a parecchie persone. È opinione diffusa che le bombe abbiano favorito la “questione sudtirolese”, sollevata di fronte alle Nazioni Unite nel 1960/61, accelerando la ratifica del pacchetto e l’approvazione del Secondo Statuto d’Autonomia. Ovviamente si tratta di una tesi priva di fondamento. Più plausibile appare la proposta avanzata dallo storico Rolf Steiniger, convinto che l’autonomia altoatesina sia il risultato un lento ma proficuo processo, che diede i suoi frutti non grazie, ma nonostante gli attacchi dinamitardi.[7]
[1] Francesca Melandri, Eva dorme, Mondadori, Milano 2010, 61.
[2] Leopold Steurer, Die „Feuernacht“: Hintergründe und Scheitern einer Strategie, “Geschichte und Region/Storia e regione”, 20 (2011), 103-121.
[3] Hans Karl Peterlini, Bomben aus zweiter Hand. Zwischen Gladio und Stasi: Südtirols missbrauchter Terrorismus, Edition Raetia, Bolzano 1992.
[4] È stata fatta saltare la tomba del sen. Tolomei, “Alto Adige”, 23.11.1957, 4; Secondo attentato: dinamite nella casa di Tolomei, “Alto Adige”, 2.02.1961, 1.
[5] Das versteckte Depot, https://www.tageszeitung.it/2021/06/17/das-versteckte-depot/ [30.09.2021].
[6] Hans Karl Peterlini, Methode und Urteil. Die Feuernacht in den Deutungen der Geschichtswissenschaft: Eine Auseinandersetzung, “Geschichte und Region/Storia e regione”, 20 (2011), 135-154.
[7] Rolf Steininger, Südtirol zwischen Diplomatie und Terror 1947–1969, Athesia, Bolzano 1999, vol. 3, 837.
Das versteckte Depot, https://www.tageszeitung.it/2021/06/17/das-versteckte-depot/.
È stata fatta saltare la tomba del sen. Tolomei, „Alto Adige“, 23.11.1957, S. 4.
Gehler, Michael, Von St. Germain bis zum „Paket“ und „Operationskalender“: Der 50-jährige steinige Weg zur Autonomielösung der Südtirolfrage 1919-1969, in: Barlai, Melani/Griessler, Christina/Lein, Richard (eds.), Südtirol. Vergangenheit, Gegenwart, Zukunft, Nomos Verlag, Baden-Baden 2014, S. 13-47.
Peterlini, Hans Karl, Bomben aus zweiter Hand. Zwischen Gladio und Stasi: Südtirols missbrauchter Terrorismus, Edition Raetia, Bozen 1992.
Peterlini, Hans Karl, Methode und Urteil. Die Feuernacht in den Deutungen der Geschichtswissenschaft: Eine Auseinandersetzung, „Geschichte und Region/Storia e regione“, 20 (2011), S. 135-154.
Secondo attentato: dinamite nella casa di Tolomei, „Alto Adige“, 2.02.1961, S. 1.
Solderer, Gottfried (ed.), Das 20. Jahrhundert in Südtirol, vol. 4, Edition Raetia, Bozen 1999.
Steininger, Rolf, Südtirol zwischen Diplomatie und Terror 1947–1969, 3 voll., Athesia, Bozen 1999.
Steurer, Leopold, Die „Feuernacht“: Hintergründe und Scheitern einer Strategie, „Geschichte und Region/Storia e regione“, 20 (2011), S. 103-121.