Nella ricostruzione storiografica del passato è spesso necessario inquadrare gli avvenimenti locali nel più ampio contesto della storia regionale, nazionale e addirittura globale. Questo vale anche per l’Alto Adige, terra di confine per antonomasia: Ai tempi dell’Impero austroungarico questo territorio era popolato da una minoranza italiana ma, dalla Grande Guerra in poi, la popolazione di lingua tedesca divenne essa stessa una minoranza all’interno del Regno d’Italia, allora retto dai Savoia.
Già da secoli viveva in Alto Adige una piccola percentuale di persone, per le quali l’italiano era “lingua d’uso” (termine coniato dai censimenti dell’Impero austroungarico), soprattutto a Bolzano e nell’odierna Bassa Atesina: a Salorno, Egna, Ora, Bronzolo, Laives e Vadena. Dai censimenti austriaci del 1890, 1900 e 1910, per il comune di Ora emerge la seguente situazione:[1]
Anno | 1890 | 1900 | 1910 |
Popolazione totale | 1.156 | 1.217 | 1.250 |
Aumento totale unità | — | + 61 | + 33 |
Di cui tedeschi | 934 | 1.041 | 1.196 |
Di cui italiani | 222 | 176 | 54 |
Apparentemente vi è stato un calo della popolazione di lingua italiana, ma guardando i numeri della popolazione totale risulta che la somma delle unità dal 1890 al 1900 era aumentata di 61 persone e dal 1900 al 1910 di 33. Pertanto appare inverosimile che questi dati siano correlati a un’effettiva diminuzione della popolazione di lingua italiana; è più probabile che gli italiani qui residenti, pur continuando ad esprimersi nel loro dialetto all’interno della propria famiglia, all’esterno, nei rapporti sociali, frequentando la scuola, la chiesa, il mercato o la piazza, comunicassero in dialetto tedesco sudtirolese, per integrarsi meglio ed essere accettati.
Allarghiamo ora lo sguardo all’odierna provincia di Bolzano: Nel 1910, data dell’ultimo censimento austriaco, gli abitanti dell’Alto Adige risultavano 242.503. La popolazione di lingua tedesca era pari a 224.393 unità, quella di lingua italiana a 16.510, e quella appartenente ad altre lingue a 1.600. Questi numeri confermano il carattere multietnico del territorio. Il censimento del 1921 si svolse in Italia: 202.400 unità risultavano tedesche, 20.300 italiane. Nel 1939, invece, circa 234.000 tedeschi si trovarono a convivere con 80.800 italiani.[2] Dal censimento del 1921 emerge che la popolazione residente nel comune di Ora era composta da 1.650 abitanti,[3] non è però stato possibile reperire i dati relativi ai gruppi linguistici. Ma possiamo con certezza affermare che già prima della Grande Guerra, a Ora vivevano diverse famiglie italiane provenienti dal Trentino: soprattutto Val di Fiemme, Val di Non e Val di Cembra. Gli italiani arrivati qui trovarono lavoro come braccianti nei masi, nelle cave, nella regolazione dell’Adige, nell’edilizia, ma anche come artigiani e venditori ambulanti.[4]
Per molti secoli la convivenza di tedeschi e italiani nei territori del Tirolo storico non aveva comportato grandi difficoltà.
Le tensioni etniche divamparono dalla metà del 19° secolo, con una sempre maggiore diffusione di idee nazionaliste. Queste innescarono la Prima Guerra Mondiale, ma non cessarono con essa, anzi, si inasprirono ancor di più con l’avvento dei fascismi.
La dittatura fascista segnò per molti italiani – e non solo – la fine delle proprie libertà. Il regime controllava ossessivamente i cittadini, soprattutto dopo l’emanazione delle leggi “fascistissime” del 1925 e 1926 (scioglimento di tutti i partiti contrari al fascismo, proibiti gli scioperi, istituzione di un tribunale speciale per la difesa dello Stato etc.). In particolare, in Alto Adige il fascismo tentò di italianizzare la popolazione attraverso i “Provvedimenti” di Ettore Tolomei. Quando fu evidente che le sue misure non sarebbero mai riuscite a “convertire” la popolazione locale, il regime decise di rovesciare demograficamente la proporzione tra italiani e tedeschi, favorendo e forzando l’immigrazione dalle cosiddette vecchie province. Furono realizzate le zone industriali di Sinigo e Bolzano, e nuovi quartieri popolari per far risiedere gli operai e le loro famiglie.[5] Questo obiettivo non era difficile da raggiungere, perché l’Italia era da sempre terra di migranti. L’Alto Adige era vicino, e il regime prometteva di tutto e di più, pur di attirare le famiglie in questa zona di confine.
Questa è, in poche righe, una brevissima sintesi di ciò che successe in Alto Adige in quegli anni, quando cambiarono confini, cittadinanze e le vite di intere popolazioni. Una cosa sono i fatti storici e le statistiche, un’altra sono invece le singole persone e i loro destini, testimoni contemporanei, che non hanno conosciuto il passato leggendolo sui libri, ma vivendolo in prima persona. Per questo credo sia importante dar voce a coloro che ci possono raccontare quei tempi dal loro punto di vista individuale. Risiedevano a Ora alcune famiglie di lingua italiana, alcune arrivate quando ancora c’era l’Impero austroungarico, altre arrivate dopo il 1918, nella speranza di trovare qui una vita migliore rispetto al luogo che avevano lasciato. Inoltre, lo Stato aveva bisogno di personale per la pubblica amministrazione e per l’insegnamento, visto che la popolazione germanofona era a priori esclusa da queste mansioni. Dopo il 1939 giunsero diverse famiglie dal Trentino ma anche da altre province, per integrare la mano d’opera venuta a mancare con le Opzioni. Pochi di loro diventarono imprenditori, alcuni riuscirono a comprare un po’alla volta dei terreni, una casa, ma quasi tutti lavoravano nei campi: i più fortunati come mezzadri, chi bracciante a giornata. Alcuni vennero chiamati a bonificare i terreni incolti e paludosi cosiddetti “Ischia”, “Reisacker” e “Piglon”, venduti dal Comune di Ora ai fratelli Pietro e Giorgio Rabbiosi nel gennaio del 1939.[6] Altri lavoravano per la ferrovia della Val di Fiemme e quella del Brennero, mentre altri ancora erano operai, qualificati e non. Lo sappiamo perché in quegli anni nei registri di scuola era obbligatorio annotare non solo le generalità degli alunni, ma anche dei loro genitori con le relative professioni (i registri degli anni ’40 e ’50 sono conservati presso la scuola primaria Carlo Collodi di Ora).
Queste sono le testimonianze dei discendenti di quei trentini, veneti, lombardi e tanti altri che arrivarono qui, per trovare un lavoro e crescere i propri figli, noncuranti delle definizioni di “tedesco” o “italiano”, “fascista” o “nazista”. È il contributo corale di persone, alcune molto anziane, alcune nate o arrivate a Ora in tenera età, ma tutte diventate adulte e invecchiate qui. Questa è la loro memoria (per loro espresso desiderio non scriviamo nome e cognome).
A.F., nata nel 1938 in Val di Non: Mi hanno raccontato che siamo arrivati nel 1938 con un carro tirato dai buoi. Eravamo una famiglia numerosa e portavamo con noi tutte le nostre cose. Già da piccoli si aiutava nei campi, nella stalla; alle donne era affidata la mungitura delle mucche. Alle quattro di mattino si falciava l’erba, tutto il lavoro era fatto a mano.
Come cartella per andare a scuola avevamo una borsa fatta di pezza, un solo quaderno e un solo libro. La nonna l’ho sempre vista vestita con delle gonne scure, lunghe fino a terra, gli zoccoli ai piedi, invece le donne giovani portavano già gonne più corte.
Già prima della guerra per trebbiare il grano arrivava una trebbiatrice da Egna, così si risparmiava un po’ di lavoro. Dopo aver raccolto il mais, di sera ci si trovava nel fienile per legare e appendere le pannocchie, il premio per noi bambini era una pannocchia cotta da sgranocchiare.
Abitando nella mezzadria avevamo le mucche e quindi latte e burro, le uova delle galline, la farina di mais e di frumento; non abbiamo patito la fame durante la guerra. Talvolta, al mattino, davanti al portone si presentavano alcune mamme e le donne di casa consegnavano loro un po’ di latte, come si poteva negarglielo?
A.D., nato ad Ora nel 1934: Mi ricordo via dei Campi. Era un sentiero di campagna, dove passavamo per portare le capre al pascolo. Non usavamo le scarpe, giravamo sempre scalzi. Per costruire la nostra casa, la mamma andava con i buoi sull’argine del Rio Nero per raccogliere i sassi grandi.
Le campagne non sono come quelle di oggi, si coltivava soprattutto il mais e la vite, patate e frumento, ma anche un po’ di riso. Più tardi è arrivata la coltivazione delle mele e tutto è cambiato.
O.B., nata nel 1938 in Val di Fiemme: Mi ricordo che non c’erano case per noi, per la gente arrivata da poco. Se si trovava qualcosa in affitto, ci si accontentava e ci si arrangiava.
I negozi erano proprio pochi: Bassani teneva in estate una bancarella di frutta e verdura in piazza, in inverno teneva la bottega in una stanza del Rosenkeller. Vendeva, insieme alle verdure, anche le pantofole. Villa Carla in via dei Campi era uno spaccio di vini, qualche volta qualcuno suonava e si faceva festa.
A.G., nata nel 1926 a Ora: Mio zio con la sua famiglia aveva optato, anche se sono rimasti qui, ma mio cugino venne subito arruolato nell’esercito tedesco, nella Wehrmacht. Finì in Russia a combattere. A Hitler non interessavano i destini di noialtri, voleva solo carne da cannone.
Mio papà era artigiano in proprio e prima della guerra avevamo sempre da mangiare. Dopo era più difficile, mia mamma si doveva ingegnare ogni giorno. Chissà perché di quei tempi ho tanti ricordi, mi vengono in mente tante cose.
D.A., nato nel 1934: C’erano diverse osterie/locande come “Le Scalette”, cioè il “Waldthaler”, il “Rosenkeller”, dove si poteva telefonare e si pagava al bar.
Anche se in campagna si lavorava ancora con i buoi, eravamo circa cinque giovani del paese ad avere la Vespa. La mia era grigia. Ricordo ancora la sensazione di modernità che sentivo quando la mettevo in moto e di come la gente mi guardava.
O.B., nata nel 1938: Non vendevano i gelati qui in paese ma per il mercato di San Marco arrivava il furgoncino di un gelataio, così il primo gelato l’ho gustato a cinque anni.
Mi ricordo una sera, la lunga fila di persone che aspettava fuori dal “Bar Centrale”: era arrivata la televisione anche qui![7]
Alcune famiglie stavano meglio di altre. In casa avevano già il frigorifero e la lavatrice. Il capofamiglia non lavorava più in campagna, ma nella cava di porfido, quella tra Ora e Bronzolo. C’erano anche diversi magazzini di frutta in paese, vi lavoravano molte ragazze. Diverse di loro provenivano dalla Val di Non. Noi ragazze del paese però evitavamo di lavorare lì.
L.B., nata nel 1952 e da sempre residente a Ora: Mi ricordo che le case non avevano come oggi i bagni. Chi aveva la lisciaia in cantina faceva lì il bagno del sabato; altri andavano, con il cambio pulito, in un locale pubblico vicino al Friseur Kaufmann.
Mi ricordo di quando i maestri ci portavano sulla via Nazionale per assistere al passaggio dei ciclisti del Giro d’Italia. E quando a scuola ci chiedevano cosa volevamo fare da grandi, noi bambine quasi all’unisono dicevamo “la sarta”. Poter avere tanti vestiti era un sogno!
Mi ricordo di quando Aldo Moro trascorreva le sue vacanze a Predazzo. Scendeva dal treno alla stazione di Ora. Per noi era un grande avvenimento veder passare quella grande auto nera con il seguito della scorta.
Con le compagne e amiche cercavamo lungo la strada le zucche, quelle lunghe. Si facevano i buchi per gli occhi e poi le vestivamo con stracci che trovavamo, erano le nostre bambole.
Questa gente arrivata qui ormai quasi un secolo fa, i cui genitori erano armati spesso solo di speranza e di buona volontà, ha visto cambiare il mondo e ha visto crescere non solo la generazione dei propri figli ma anche dei nipoti e dei bisnipoti, rimanendo sempre qui, scegliendo Ora come luogo di vita e contribuendo a fare di questo piccolo paese agricolo il centro che noi oggi conosciamo.
[1] Oskar Peterlini, Autonomia e tutela delle minoranze nel Trentino-Alto Adige. Cenni di storia e cultura, diritto e politica, Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale del Trentino-Alto Adige, Bolzano/Trento 1996, 59.
[2] Casimira Grandi, L’ultimo censimento austriaco e il primo censimento italiano in Alto Adige: due mondi a confronto, in: Giorgio Delle Donne (ed.), Incontri sulla storia dell’Alto Adige, Provincia Autonoma di Bolzano, Bolzano 1994, 275.
[3] Rilevazione della popolazione effettuata nel 1921 (ultimo censimento gestito dai comuni, i successivi vennero svolti dall’I.S.T.A.T.): 1.650 abitanti; 1931: 1.798 abitanti (+9%); 1936: 1.919 abitanti (+6,75%); 1951: 1.879 abitanti (-2,1%); 1961: 2.239 abitanti (+19,2%). www.tuttitalia.it/trentino-alto-adige/54-ora/statistiche/censimenti-popolazione/ [29.01.2022].
[4] Peterlini, Autonomia e tutela delle minoranze, op.cit., 59.
[5] Giorgio Giannini, La italianizzazione dell’Alto Adige durante il fascismo, “I Quaderni”, s.a. (2019), 1, 21-22.
[6] Rolando Cembran, Il trattore agricolo nella Bassa Atesina, s.n., Trento 2010, 59-64.
[7] Il 03.01.1954 inizia il regolare servizio televisione sul territorio italiano; alla fine dello stesso anno la televisione raggiunge il 54% della popolazione, nel 1961 il 97%.
Adler, Wilfried, L’era Credaro nell’Alto Adige (1919-1922). Un primo passo verso il fascismo?, “Studi Trentini di Scienze Storiche”, 58 (1978), 4, 475–490.
Benvenuti, Sergio, La diocesi di Bressanone e la “Questione nazionale“ dell’Alto Adige nella politica del governo fascista, “Studi Trentini di Scienze Storiche”, 56 (1976), 4, 397–451.
Cembran, Rolando, Il trattore agricolo nella Bassa Atesina, o.V., Trient 2010.
Cembran, Rolando, Un binario per Fiemme. Cenni storici, episodi e vicende paesane sul “trenino” più conteso fra Trento e Bolzano (1891-1963), Athesia, Bozen 2011.
Corsini, Umberto/Lill, Rudolf, Alto Adige 1918-1946, Autonome Provinz Bozen, Bozen 1988.
Delle Donne, Giorgio, Cesare Battisti e la questione altoatesina, Valerio Levi Editore, Rom 1987.
Forcher, Michael, Il Tirolo. Aspetti storici, Panorama, Wien 1984.
Giannini, Giorgio, La italianizzazione dell’Alto Adige durante il regime fascista, “I Quaderni”, o.J. (2019), 1.
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